mercoledì 18 maggio 2011

Nello studio di Regula Zwiki, dove il marmo vola, fiori fossili sbocciano, antichi cocci ti guardano

Regula Zwiki nel suo laboratorio
Sono in un casale di Montefiascone che Regula Zwiki, svizzera da più di venticinque anni in Tuscia,  usa come laboratorio di scultura, che ora condivide con altri artisti, una burattinaia, una marionettista, un altro sculture e pittore suo compagno, una fotografa. Il suo laboratorio è all’aperto in una veranda, per non far depositare le polveri della pietra al chiuso, e così il suo lavoro è scandito dai venti, dal freddo e dalla calura, come del resto succede alla pietra in natura.

Inizialmente pitturava per hobby ma la pietra già allora la chiamava così iniziò a lavorare al cimitero a imparare l’incisione e molto lentamente si è avvicinata alle tecniche scultoree del lavoro tridimensionale.   Ha iniziato a lavorare molto presto, dopo la terza media, in  un laboratorio che produceva barbe, baffi e parrucche per il teatro dell’opera e la mattina si dedicava alla scoperta della scultura. Il primo lavoro tridimensionale è stato il viso di sua madre con il marmo, partendo dall’immagine mentale del suo viso, che alla fine non le somigliava ed era per lo più un altorilievo. Questo perché la tecnica di modellaggio con la terracotta e la scultura a tutto tondo hanno tecniche completamente diverse. Con quest’ultimo si parte dal livello più basso, spiega.
Sono figlia di contadini, per loro l’arte era qualcosa per chi non aveva voglia di lavorare, e forse, col senno del poi, per me la scelta verso la scultura è stata dettata da un impulso a giustificare il percorso artistico. Fatico e faccio arte. La fatica è soprattutto sopportare la polvere, il rumore, il freddo o il caldo, magari una casalinga con una casa grande, con i figli fatica di più credo. Oggi con il frullino, il martello pneumatico ci si aiuta, lo sforzo fisico è più nello spostare le pietre che nel lavorarle”.
Rispetto alla pittura i tempi sono molto più lunghi “e in più devi avere le idee chiare, quando scegli la pietra. Già ti escludi delle possibilità nel momento della scelta del materiale, se è ruvido e poroso come il tufo non lo puoi allisciare ad esempio. Anche quando scegli la dimensione del blocco devi avere già l’idea di quello che vuoi realizzare” . Ad esempio usa il marmo per forme sfuggenti, impalpabili, morbide, che scorrono come l’acqua, invece con le pietre della foresta pluviale che ha usato nella serie “Fiori fossili” elabora forme viventi, calde, vegetali, umifere, associando anche legni lavorati dal mare. Come materiali locali usa il tufo, il peperino, il basalto, invece dal mondo usa tipi di steatite, anche detta saponaria, per la sua somiglianza col sapone sia alla vista che al tatto, o appunto pietre della foresta pluviale.

Usa anche frammenti di ceramiche medievali che rimedia scambiandoli con le sue opere di artigianato. Questi  pezzetti vanno a comporre ritratti e maschere in rilievo su piano bidimensionale, a mo’ di collage. Della basaltina sfrutta la resistenza mista alla flessibilità, lavorandovi delle forme sottilissime, bidimensionali ma piegando e curvando i piani, con un effetto di grossa pennellata che ritorna su se stessa. La sfida è quindi “portare al limite le capacità della pietra”.

Le forme che realizzi precedono il materiale o è quest’ultimo che ti fa scoprire determinate forme?
Forse la forma già c’era, ad esempio io faccio sia artigianato che oggetti artistici, e determinati moduli li ho ripetuti molto. Spesso parto dal progetto disegnato”.  Sulle lastre in cui l’effetto ricercato è la pennellata unica a volute, i primi lavori sono stati ispirati dalla pietra, dopodiché, scoperte le sue possibilità è andata a ricercare varianti della forma dal disegno, il che rivela Regula, costituisce un impoverimento emotivo nella ricerca artistica.

Un altro modulo tipico dei suoi lavori sono gli anelli, due forme congiunte, non solvibili ma mobili.
Visitare il laboratorio di un artista è molto interessante perché si possono anche ammirare gli “errori”, ad esempio un’opera di circa un metro di altezza in marmo di Portogallo che appare bianco ma una volta bagnato o lucidato rivela venature, profondità e trasparenze rosa.
L’errore a detta di  Regula è stato sia aver speso molto in tempo e denaro per il materiale per un lavoro non commissionato, sia non averlo lucidato, bensì inciso con tratti brevissimi, con un effetto ottenibile anche con materiali meno preziosi.

In quali paesi hai esposto?
"Soprattutto in Svizzera per via dei legami che mantengo, io sono di Zurigo ma espongo per lo più nel cantone di Berna, sul lago di Thun, dove sono i miei parenti, spesso espongo con mia cugina, artista tessile e di ceramica Raku".

Dove ti senti a casa?
"Qui, dove ho speso metà della mia vita, dove abito per scelta e, anche se ti ho detto che Montefiascone mi ha un po’ stancata, in Svizzera non potrei più vivere, sono troppo inquadrati, mi sentirei soffocare, come neanche mi sposterei in una grande città. Alla fine non sono né carne né pesce, non più svizzera e non sarò mai italiana".

Come mai hai scelto Viterbo?
È stato per via della pietra, volevo vivere vicino alle cave di peperino, che poi sono soprattutto a Vitorchiano. Quando sono andata via da Zurigo ho dato via tutte le cose che avevo, sono rimasta solo con due valige e sono stata ospite da un amico che era via. Da lì me ne sono andata a piedi verso l’Italia. Ho chiuso la casa, ho sceso le scale di questa casa e il rumore, il tintinnìo della chiave che ho lasciato nella cassetta della posta, ancora lo sento, è il ricordo di un’esperienza fortissima, varchi una soglia e ti lasci indietro tutto il passato. Sono andata via a piedi, con zaino e scarponi, ho varcato ghiacciai e monti e sono entrata in Italia, due settimane di cammino. Una volta su suolo italiano ho preso il treno e sono venuta direttamente a Viterbo. Inizialmente stavo in una pensione cercando lavoro nelle cave senza riuscirci, poi uno scultore mi ha preso a bottega ma per poco, ho preso una stanza in affitto e trovato una cantina per il laboratorio a Pianoscarano. Non avevo auto nè patente, avevo ventidue anni, erano gli anni Ottanta, e con la bicicletta mi portavo al laboratorio le pietre che prendevo dal marmista alla rotonda dopo Valle Faul, in salita usavola bici  a mo’ di carriola. Lui è rimasto così colpito che si è incuriosito è ha voluto vedere i lavori che facevo, al tempo erano dei rilievi che rappresentavano scorci della città. E la mia precisione, appresa al tempo del mio lavoro al cimitero in Svizzera, lo ha convinto ad assumermi. Lì c’era uno scalpellino dal quale ho imparato. Quando c’era poco lavoro mi dava a disposizione il materiale per fare dei mascheroni che poi metteva in esposizione o regalava a grossi clienti. È stato molto importante quest’esperienza per me”.
Poco attirata dagli ambienti artistici già da quando lavorava a Zurigo col teatro dell’Opera, forse per via della diffidenza dei genitori verso questa categoria, forse anche per una certa timidezza nel mettersi a nudo durante il lavoro, Regula rivela che solo da poco, cioè dopo trent’anni di scultura è riuscita a partecipare a un’estemporanea.
È stato un esperimento per me, per vedere se ero cambiata. Ma poi non è che l’abbia vissuta granché bene. Forse è paura del confronto, non so, o sarà il carattere”.
Che differenze trovi nella sensibilità artistica del pubblico qui e quella in Svizzera?
Ma sai, in Svizzera ci sono più soldi e più gente disposta a spendere in qualcosa di futile come l’arte. Qui quelli con i soldi comprano i “nomi”, allo stesso modo come si compra un abito firmato”.


Trovo che la tua storia sia in assonanza con la scultura, quella voglia di ridurre all’essenziale, al cuore delle cose...
"Sì, ma credo di esserne venuta via da questa cosa. Prima era così anche economicamente, volevo vivere con zero o quasi. Quando abitavo in un monolocale con mio figlio piccolo, non c’era quasi niente, tranne lo spazio di mio figlio pieno di giocattoli, il resto era molto sobrio. Invece da quando abito col mio compagno attuale, che è totalmente diverso, ho dovuto imparare ad essere circondata di cose. Lui è proprio il contrario di me, io impiego molto tempo a creare, a pensare all’opera, invece lui è capace di non fermarsi mai, di fare due sculture al giorno, ora ad esempio fa delle bestie con i legni trovati al mare. Anche mio figlio è così, veloce, impulsivo, suona la batteria. Io invece faccio Yoga, che fa per me perché è lento, anche da piccola ero resistente nella corsa ma lenta".



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