mercoledì 18 maggio 2011

Nello studio di Regula Zwiki, dove il marmo vola, fiori fossili sbocciano, antichi cocci ti guardano

Regula Zwiki nel suo laboratorio
Sono in un casale di Montefiascone che Regula Zwiki, svizzera da più di venticinque anni in Tuscia,  usa come laboratorio di scultura, che ora condivide con altri artisti, una burattinaia, una marionettista, un altro sculture e pittore suo compagno, una fotografa. Il suo laboratorio è all’aperto in una veranda, per non far depositare le polveri della pietra al chiuso, e così il suo lavoro è scandito dai venti, dal freddo e dalla calura, come del resto succede alla pietra in natura.

Inizialmente pitturava per hobby ma la pietra già allora la chiamava così iniziò a lavorare al cimitero a imparare l’incisione e molto lentamente si è avvicinata alle tecniche scultoree del lavoro tridimensionale.   Ha iniziato a lavorare molto presto, dopo la terza media, in  un laboratorio che produceva barbe, baffi e parrucche per il teatro dell’opera e la mattina si dedicava alla scoperta della scultura. Il primo lavoro tridimensionale è stato il viso di sua madre con il marmo, partendo dall’immagine mentale del suo viso, che alla fine non le somigliava ed era per lo più un altorilievo. Questo perché la tecnica di modellaggio con la terracotta e la scultura a tutto tondo hanno tecniche completamente diverse. Con quest’ultimo si parte dal livello più basso, spiega.
Sono figlia di contadini, per loro l’arte era qualcosa per chi non aveva voglia di lavorare, e forse, col senno del poi, per me la scelta verso la scultura è stata dettata da un impulso a giustificare il percorso artistico. Fatico e faccio arte. La fatica è soprattutto sopportare la polvere, il rumore, il freddo o il caldo, magari una casalinga con una casa grande, con i figli fatica di più credo. Oggi con il frullino, il martello pneumatico ci si aiuta, lo sforzo fisico è più nello spostare le pietre che nel lavorarle”.
Rispetto alla pittura i tempi sono molto più lunghi “e in più devi avere le idee chiare, quando scegli la pietra. Già ti escludi delle possibilità nel momento della scelta del materiale, se è ruvido e poroso come il tufo non lo puoi allisciare ad esempio. Anche quando scegli la dimensione del blocco devi avere già l’idea di quello che vuoi realizzare” . Ad esempio usa il marmo per forme sfuggenti, impalpabili, morbide, che scorrono come l’acqua, invece con le pietre della foresta pluviale che ha usato nella serie “Fiori fossili” elabora forme viventi, calde, vegetali, umifere, associando anche legni lavorati dal mare. Come materiali locali usa il tufo, il peperino, il basalto, invece dal mondo usa tipi di steatite, anche detta saponaria, per la sua somiglianza col sapone sia alla vista che al tatto, o appunto pietre della foresta pluviale.

Usa anche frammenti di ceramiche medievali che rimedia scambiandoli con le sue opere di artigianato. Questi  pezzetti vanno a comporre ritratti e maschere in rilievo su piano bidimensionale, a mo’ di collage. Della basaltina sfrutta la resistenza mista alla flessibilità, lavorandovi delle forme sottilissime, bidimensionali ma piegando e curvando i piani, con un effetto di grossa pennellata che ritorna su se stessa. La sfida è quindi “portare al limite le capacità della pietra”.

Le forme che realizzi precedono il materiale o è quest’ultimo che ti fa scoprire determinate forme?
Forse la forma già c’era, ad esempio io faccio sia artigianato che oggetti artistici, e determinati moduli li ho ripetuti molto. Spesso parto dal progetto disegnato”.  Sulle lastre in cui l’effetto ricercato è la pennellata unica a volute, i primi lavori sono stati ispirati dalla pietra, dopodiché, scoperte le sue possibilità è andata a ricercare varianti della forma dal disegno, il che rivela Regula, costituisce un impoverimento emotivo nella ricerca artistica.

Un altro modulo tipico dei suoi lavori sono gli anelli, due forme congiunte, non solvibili ma mobili.
Visitare il laboratorio di un artista è molto interessante perché si possono anche ammirare gli “errori”, ad esempio un’opera di circa un metro di altezza in marmo di Portogallo che appare bianco ma una volta bagnato o lucidato rivela venature, profondità e trasparenze rosa.
L’errore a detta di  Regula è stato sia aver speso molto in tempo e denaro per il materiale per un lavoro non commissionato, sia non averlo lucidato, bensì inciso con tratti brevissimi, con un effetto ottenibile anche con materiali meno preziosi.

In quali paesi hai esposto?
"Soprattutto in Svizzera per via dei legami che mantengo, io sono di Zurigo ma espongo per lo più nel cantone di Berna, sul lago di Thun, dove sono i miei parenti, spesso espongo con mia cugina, artista tessile e di ceramica Raku".

Dove ti senti a casa?
"Qui, dove ho speso metà della mia vita, dove abito per scelta e, anche se ti ho detto che Montefiascone mi ha un po’ stancata, in Svizzera non potrei più vivere, sono troppo inquadrati, mi sentirei soffocare, come neanche mi sposterei in una grande città. Alla fine non sono né carne né pesce, non più svizzera e non sarò mai italiana".

Come mai hai scelto Viterbo?
È stato per via della pietra, volevo vivere vicino alle cave di peperino, che poi sono soprattutto a Vitorchiano. Quando sono andata via da Zurigo ho dato via tutte le cose che avevo, sono rimasta solo con due valige e sono stata ospite da un amico che era via. Da lì me ne sono andata a piedi verso l’Italia. Ho chiuso la casa, ho sceso le scale di questa casa e il rumore, il tintinnìo della chiave che ho lasciato nella cassetta della posta, ancora lo sento, è il ricordo di un’esperienza fortissima, varchi una soglia e ti lasci indietro tutto il passato. Sono andata via a piedi, con zaino e scarponi, ho varcato ghiacciai e monti e sono entrata in Italia, due settimane di cammino. Una volta su suolo italiano ho preso il treno e sono venuta direttamente a Viterbo. Inizialmente stavo in una pensione cercando lavoro nelle cave senza riuscirci, poi uno scultore mi ha preso a bottega ma per poco, ho preso una stanza in affitto e trovato una cantina per il laboratorio a Pianoscarano. Non avevo auto nè patente, avevo ventidue anni, erano gli anni Ottanta, e con la bicicletta mi portavo al laboratorio le pietre che prendevo dal marmista alla rotonda dopo Valle Faul, in salita usavola bici  a mo’ di carriola. Lui è rimasto così colpito che si è incuriosito è ha voluto vedere i lavori che facevo, al tempo erano dei rilievi che rappresentavano scorci della città. E la mia precisione, appresa al tempo del mio lavoro al cimitero in Svizzera, lo ha convinto ad assumermi. Lì c’era uno scalpellino dal quale ho imparato. Quando c’era poco lavoro mi dava a disposizione il materiale per fare dei mascheroni che poi metteva in esposizione o regalava a grossi clienti. È stato molto importante quest’esperienza per me”.
Poco attirata dagli ambienti artistici già da quando lavorava a Zurigo col teatro dell’Opera, forse per via della diffidenza dei genitori verso questa categoria, forse anche per una certa timidezza nel mettersi a nudo durante il lavoro, Regula rivela che solo da poco, cioè dopo trent’anni di scultura è riuscita a partecipare a un’estemporanea.
È stato un esperimento per me, per vedere se ero cambiata. Ma poi non è che l’abbia vissuta granché bene. Forse è paura del confronto, non so, o sarà il carattere”.
Che differenze trovi nella sensibilità artistica del pubblico qui e quella in Svizzera?
Ma sai, in Svizzera ci sono più soldi e più gente disposta a spendere in qualcosa di futile come l’arte. Qui quelli con i soldi comprano i “nomi”, allo stesso modo come si compra un abito firmato”.


Trovo che la tua storia sia in assonanza con la scultura, quella voglia di ridurre all’essenziale, al cuore delle cose...
"Sì, ma credo di esserne venuta via da questa cosa. Prima era così anche economicamente, volevo vivere con zero o quasi. Quando abitavo in un monolocale con mio figlio piccolo, non c’era quasi niente, tranne lo spazio di mio figlio pieno di giocattoli, il resto era molto sobrio. Invece da quando abito col mio compagno attuale, che è totalmente diverso, ho dovuto imparare ad essere circondata di cose. Lui è proprio il contrario di me, io impiego molto tempo a creare, a pensare all’opera, invece lui è capace di non fermarsi mai, di fare due sculture al giorno, ora ad esempio fa delle bestie con i legni trovati al mare. Anche mio figlio è così, veloce, impulsivo, suona la batteria. Io invece faccio Yoga, che fa per me perché è lento, anche da piccola ero resistente nella corsa ma lenta".



martedì 17 maggio 2011

Un paradiso a passo d'uomo e cuore di donna: il cammino per Immacolata Coraggio


Incontro sul lungolago di Montefiascone, Immacolata Coraggio, che con la calma cristallina del lago e l'allegria delle sue sponde musicata da un accento campano, mi racconta quel che per lei hanno significato i cammini e a quali mete la stanno portando.

Immacolata Coraggio
 Ho trovato talmente interessante l'ora di conversazione assieme, che non me la sono sentita di sintetizzare.
  "Ho cominciato come molti col cammino di Santiago nel 2006 ed è stata un’esperienza scioccante. L’apertura di una finestra su un muro che pensavo compatto. La sensazione che l’idea di paradiso che abbiamo dentro di noi può esistere, e che paradiso significa appartenenza. Il passare da un modello in cui il mondo è qualcosa di separato da te a un altro in cui puoi sentirti parte. Sul cammino di Santiago ci sono persone di tutte le età, ceti sociali, credo religioso, con i passati più strani, personali, che camminano insieme, ognuno coi suoi tempi, modalità, motivazioni e tu ti riconosci fratello con ognuno per il solo fatto di essere pellegrini. È un esperienza molto forte perché rispetto al quotidiano ti dà la possibilità di riconoscersi nell’altro, superare il giudizio dell’altro. Ci si sente completamente sostenuti, in un progetto che sembra eroico, farsi 800 chilometri a piedi. Ti fa sentire la potenza di questo sostegno. E poi si impara col corpo. Tutta una serie di lezioni, convinzioni teoriche, come il lasciar andare il superfluo, tornare all’essenziale, rimangono molto mentali di solito, invece con il cammino tutto quello che porti è sulle tue spalle, infatti molti, quando si rendono conto che quello che è nel loro bagaglio non è indispensabile, vanno all’ufficio postale e spediscono i superfluo, che proprio è diventato un peso materiale.
Un'altra cosa che si impara velocemente è far coincidere l’obbiettivo a lungo termine col vivere il quotidiano. Ci sono persone che tendono a programmare, a vivere su un obiettivo futuro e chiudono le porte all’immediato, trascurando la rilassatezza, i rapporti umani. Oppure c’è chi vive straordinariamente il presente ma non riesce a canalizzare le energie in una direzione. Sul cammino queste due cose devono sposarsi per forza, perché noi abbiamo una meta, Santiago o Roma, che però è molto a lungo termine, e se noi siamo focalizzati solo su questo e camminiamo quaranta chilometri al giorno, dopo due giorni arrivano tendiniti, distorsioni, e non ce lo possiamo permettere. Per forza di cose di impara a vivere ogni giorno la piccola tappa. Ti dà un senso di onnipotenza, perché ti rendi conto che se mantieni la meta in testa chiara e ti concedi di vivere ogni giorno prendendo quello che viene, si può andare da qualsiasi parte, senza fatica.
Vissuto tutto questo, ho avuto una visione fortissima, e cioè che lo scopo della mia vita è contribuire a diffondere questo nel mondo, ho visto la terra come illuminata da una ragnatela di luce, che erano tutti gli antichi cammini riattivati. Far sì che il cammino di Santiago non sia l’unico angolo di paradiso".

Come si può tradurre questo senso di paradiso nel quotidiano, in cui la meta non è un luogo geografico e non è in comune con gli altri?

"Di fatto tutti i pellegrini con cui sono rimasta in contatto rimangono con una nostalgia insopportabile e il desiderio di mantenere quel senso. Con alcuni abbiamo fatto gli hospitaleros in Spagna ed ora stiamo mettendo su dei corsi per hospitaleros in Italia.
Il mio passo successivo è stata la via francigena da Canterbury a Roma perché mi sembrava di avvicinarmi al quotidiano. Io ero comunque in cammino, ma non era strutturato, non c’è segnaletica, luoghi di accoglienza per pellegrini, la prima persona che ho incontrato a fare il cammino è stata a Radicofani a dieci giorni da Roma. Da Canterbury lo faranno dieci persone all’anno.
La mia sfida era: se io mi mantengo con lo spirito che avevo sul cammino di Santiago, vediamo se questo è “infettivo”, nel senso positivo del termine, verso il mondo che non è in cammino ma sta vivendo il proprio quotidiano.  Ed è stato ancora più potente, perché su tre mesi la metà delle notti ho dormito a casa di sconosciuti. Ho avuto degli incontri di una bellezza, persone che si aprivano semplicemente perché io ero aperta: decidere di deporre le armi fa si che l’altro ti accolga. Ho sperimentato che l’empatia e l’accoglienza sono spontanee, solo che ognuno ha così paura che l’altro sia nemico, ma il primo che depone le armi comunica all’altro la possibilità di imitarlo.
Non c’era una mappa, mi sono studiata un percorso a casa al computer, ho fatto un’ipotesi di tappe ed ho scritto su internet che chi voleva camminare con me era benvenuto. Un amico mi faceva da ponte e dava il mio numero a chi si voleva aggregare. Io mandavo a lui ogni giorno una cartolina con il diario e il motivo della giornata, lui la scansionava e la metteva in rete sul sito. Tra queste persone c’è stato anche un fotografo che mi ha aiutato poi a realizzare una mostra di cento pannelli, uno per tappa. Anche la mostra è stata un tentativo di trasmettere quello che succede fidandosi.

Andando avanti è cresciuta sempre di più la ricerca di fratellanza e mi è venuta l’idea di creare un centro in co-housing, lungo un cammino, che facesse da una parte attività per lo sviluppo dei servizi, cammini guidati, segnaletica, gps, ospitalità, seminari e contemporaneamente fare attività sul territorio di crescita pesonale, spirituale, corsi di cucina internazionale chiedendo agli stranieri di insegnarci la loro cultura. Insomma un centro che possa fungere punto di snodo di questa rete. Perché credo che ci siano oggi i semi della voglia di vivere in modo più amorevole, però siamo disgregati e per questo serve fare rete, e i cammini sono un acceleratore sociale di cambiamento. Anche perché non cambiano la vita solo a chi li percorre, ma anche alle genti che dai cammini sono attraversati. I pellegrini portano un modo diverso di pensare. Perciò ho pensato al centro per mettere assieme le due cose.
I pellegrini fanno da collante, da trasmettitori.
Così ho messo un post sul mio blog proponendo il mio progetto di centro co-housing. Mi ha risposto molta gente, significa che questo desiderio è molto forte. Abbiamo fatto il secondo incontro a Pasqua, a fine maggio abbiamo il terzo incontro e stiamo innanzitutto mettendo su un’associazione e poi stiamo cercando una sede.

La scelta è caduta sulla Tuscia, per la forza del lago di Bolsena, la sua bellezza, il valore archeologico e per il cammino della Dea che il lago mi ha ispirato. Il cammino del lago, che si fa in tre giorni, penso sia un’ottima idea per avvicinare tutti quelli che i cammini non li hanno mai fatti ed hanno così la possibilità di compiere, concludere un cammino con una variabilità di paesaggi e testimonianze storiche, in un fine settimana.
Io il cammino della dea l’ho fatto 13 volte ispirata da un pellegrinaggio giapponese di tradizione zen in cui per raggiungere l’illuminazione bisogna camminare intorno a una determinata isola per 13 volte. Mi ha colpito perché mentre il cammino lineare è rivolto all’esterno, quello circolare rappresenta il guardarsi dentro. Quest’idea di camminare guardando gli stessi sentieri mi è sembrata straordinaria perché se lo scopo di un cammino è quello di fare un viaggio interiore, questo è lo strumento più potente. Allora per diversi motivi ho scelto il lago di Bolsena e nel 2009 ho fatto questo cammino zen. Mi sono resa conto dell’importanza della percezione, come un esterno sempre uguale ad ogni giro ci appare differente, una salita una volta è insopportabile, altre una cretinata, il senso di meraviglia nel riconoscere qualcosa di già noto che assume una bellezza diversa ma forse più forte della bellezza di una cosa che scopriamo la prima volta, il sentire come quello che facciamo poi ce lo ritroviamo, ad esempio quando mi fermavo a mangiare ho preso l’abitudine di pulire il posto dove stavo anche dall’immondizia lasciata dagli altri, perché era evidente che sarei tornata. Quindi non era buonismo era a mio vantaggio che lo facevo. Questo cammino quindi si presta a questo doppio uso: cammino propedeutico o cammino interiore per chi ha sperimentato cammini lineari.

Con l’associazione che stiamo formando abbiamo in programma di sviluppare una rete di sentieri in Tuscia che dia la possibilità di viaggiare senza bisogno dell’auto per andare da un sentiero all’altro. Siamo una quindicina e ci stiamo dividendo i compiti, chi lavora sullo statuto, chi sulla sentieristica, chi sulla sede, chi sul regolamento interno, chi sui progetti da proporre in provincia. Ecco che questo desiderio di portare “Santiago” nel quotidiano si rivela condivisa. Fa parte della natura umana voler essere abbracciati e non minacciati".

Anche il senso dell’abitare cambia con questo progetto…

"Siamo consapevoli dei nostri limiti, quindi non vogliamo fare una comune, ma uno spazio che disponga sì di luoghi in comune come una grande cucina per tutti ma anche di un angolo cucina individuale, un proprio bagno e propri micro-appartamenti. Questo per evitare la paura di venir fagocitati dal gruppo, di dover essere sempre a contatto con gli altri, perchè permette la scelta dei momenti da condividere. Siamo anche tutti d’accordo sul non volere etichette, spirituali, religiose, o ad esempio regimi alimentari a cui aderire a forza, come il veganesimo o vegetarianesimo.
Il gruppo è costituito da persone in situazioni economico-lavorative molto diverse. Ad esempio io ho due anni di tempo per realizzare questo e la mia casa per ora è a Lodi ed ho l’esigenza di trovare la sede qui il prima possibile, ma altri invece hanno famiglia e lavoro altrove che non possono lasciare fino a che il progetto non sarà un po’ più strutturato, e produttore di reddito. Quindi abbiamo concordato una situazione flessibile a seconda delle esigenze e disponibilità di ognuno.
Inizialmente pensiamo di partire per gradi, di vivere in una struttura in affitto con più stanze dove possano vivere i primi elementi stabili, ma che possa anche dare accoglienza ai membri ancora mobili o ai pellegrini o alle attività. Non si può mai sapere, fino adesso i passi che ho fatto hanno trovato strade che io non avrei saputo immaginare e quindi è fondamentale essere aperti e magari salterà fuori la possibilità di trovare quel che cerchiamo. In ogni caso non aspettiamo la sede per avviare l’associazione, perché alcune attività non hanno bisogno di una sede, come quella sui sentieri.
Certo l’obiettivo a lungo termine è comprare e ristrutturare o edificare, ma questo presuppone una fiducia nel gruppo che si ottiene solo col tempo e la conoscenza. E’ però presto per decidere di vendere la propria casa, lasciare un lavoro.. Ora quello che ci lega è il progetto, questo sogno che ci unisce, nessuno di noi si conosceva prima. Ci sono altre comunità che sono invece partite dalla sede, dal posto, l’hanno preso e cercano persone per far crescere la comunità. Altre ancora sono prima un gruppo compatto e omogeneo e poi cercano un luogo".

Chi sono gli altri?

"Del territorio nessuno, ma diversi innamorati del territorio, come molti che si sono stabiliti qui da altrove perché sentono la magia del posto".

Forse c’è un magnetismo vulcanico…

"Anche i locali che ho conosciuto mi hanno rivelato di sentire spesso il bisogno di tornare non appena si trovano lontani da qui.
Poi c’è uno da Bologna, Pisa, Arezzo, Roma, Venezia…
Ci piace quest’idea di andare avanti ognuno come può. Se devi costruire una cattedrale, una strada ad esempio, se ognuno sta a guardare se il sasso che sta portando l’altro è più piccolo è un casino, perché allora o abbassiamo tutti il limite del livello di impegno e non arriviamo mai oppure si escludono quelli che portano i sassi piccoli, quelli che rimangono fanno per forza più fatica, allora ci sarà qualcun altro che non ce la farà fino a trovarsi solo con i due più forzuti che si trovano a dover fare un lavoro molto più grosso e lungo nel tempo che se avessero accettato chi riesce a portare solo sassi piccoli.
E allora la soluzione secondo me è dire: ci interessa fare questa strada e ognuno porta i sassi che può e nessuno guarda quanti sassi portano gli altri".

Il rischio però è che si rompa il progetto perché c’è chi non fa il massimo, seppur il proprio ma il massimo…

"Ma dovrebbe essere irrilevante perché tanto di fatto nessuno può entrare nella testa di un altro e sapere quanto è il suo massimo, e poi magari l’obbiettivo per l’altro non è importante quanto per te ma non è fondamentale, l’essenziale è che anche quel suo minimo ti aiuti. È complicato perché noi siamo sempre impegnati nel giudizio, ma credo sia la scommessa di questa epoca, il passare dal paradigma della piramide al paradigma del cerchio. E questo deriva dallo schema della carenza, del mondo come gioco a perdita zero… come il pocker dove a una vincita corrisponde una perdita. Ecco questo modello insegna che l’obiettivo di uno non può essere che in opposizione a quello dell’altro, oppure che il compromesso lascia necessariamente i soggetti scontenti, mancanti. Invece i giochi a perdita diversa da zero sono quelli dove o vincono tutti o perdono tutti, come un girotondo, una canzone etc. Qui non c’è compromesso perché più l’altro guadagna più guadagni tu. Si tratta di uscire da uno schema di mondo a risorse limitate, è un paradigma che è a priori dalle applicazioni, centra con l’economia, l’ecologia, i rapporti umani etc".

Ci sono dei testi scritti o degli intellettuali che teorizzano questo nuovo paradigma?

"Sì, “Il calice e la spada” di Riane Eisler che anche dal punto di vista storico affronta il tema della cultura al femminile come cerchio, calice, acqua, accoglienza, cooperazione, contrapposta al maschile come spada, piramide, rapporti di potere.
Poi “Un corso in miracoli”, il mio strumento di crescita da sedici anni, che gli autori dicono di aver ricevuto come canalizzazione,  un libro fatto in tre parti, teorica, pratica, e domande e risposte. Quando l’ho visto e deciso di comprarlo inizialmente mi sembrava immondo, con quel linguaggio arcaico, cattolico, per una anticlericale come me era allontanante. Però nell’introduzione ti viene chiesto di fare queste lezioni senza porsi domande, solo vedere cosa succede. Allora ho provato, nonostante questa repulsione sulla parte teorica che mi sembrava così cattolica. Dopo tanti anni sono riuscita a comprendere veramente la parte teorica. È un libro che ti destruttura la percezione della realtà come insieme casuale di individualità separate e ti porta a percepire la realtà come unità costante di cui tu fai parte, un organismo vivo e interrelato. La lezione fondamentale è che tutto è riducibile alla scelta fra paura e amore. E lo capisci sperimentando questi esercizi, non in modo teorico".

Attribuisci una responsabilità di questo libro al percorso che hai intrapreso sui cammini?

"Sì perché mi ha dato un livello di consapevolezza, assieme anche alla medicina naturale, la psicogenealogia e la riprogrammazione psicosimbolica, tutta una serie di percorsi non fisici. Perché questo senso di paradiso è comune a tutti i pellegrini ma non tutti lo vivono con la stessa consapevolezza e conoscenza di sè.
Anzi i cammini hanno questo i più degli altri percorsi di crescita: sono per chiunque, mentre gli altri sono tarati per un certo tipo di persone, invece qui ognuno impara a partire dal suo livello e fa un passo, un avanzamento.
Se c’è uno sciame, un’onda, uno stormo, in ogni istante c’è una goccia, un uccello, un ape, che sta avanti, ma in realtà a muoversi è lo sciame e la posizione reciproca cambia in continuazione, non è una gerarchia, è un movimento globale in cui in realtà chi sta più avanti ha il lavoro paradossalmente più facile, perché vede dove si sta andando, il che è più piacevole, mentre chi sta dietro non vede, ma fa la stessa fatica, quindi la vive con più sofferenza. Chi ci sembra che sia dietro sono quelli che spingono davvero. Chi fa qualcosa di abbietto è il maestro, perché ti insegna quello che non vuoi, che non ti piace, il maestro che vuoi emulare è un limite spirituale perché tendi a voler essere lui. Lo intendo così".

E' una visione che presuppone un'unica direzione...

"Si, certo, un piano. Io sono biologa, ricercatrice. E mi ha aiutato a capire dei meccanismi generali della realtà. In ogni caso qualunque cosa tu studi ti può far arrivare alle stesse conclusioni, che sia fisica quantistica, filosofia, biologia etc. Mi sono avvicinata all’olismo che si rifà al pensiero orientale, ma anche antico occidentale, il microcosmo, il macrocosmo, come anche la teoria matematica dei frattali. Queste unità ripetute sempre più grandi descrivibili come semplici equazioni matematiche ma che sono alla base di cose complesse come un fiume, un albero, una montagna. La filotassi che ripete la paratassi richiama il pensiero che ci sia una logica coerente nel passare dal piccolo al grande e quindi un piano, una struttura, comunque non casuale.
Come scienziato se tiri dieci volte i dadi e viene sempre sei pensi che i dadi siano truccati, quindi io mi definisco una “credente sperimentale” perché come certi fenomeni sono troppo frequenti per attribuirli al caso, la spiegazione più semplice, da rasoio di Occam, è che “i dadi siano truccati”, che ci sia cioè un piano, una regia, che poi non penso sia un creatore separato dal creato.

Immacolata Coraggio sul lago di Bolsena
 E’ bello questo periodo storico, in tanti ambiti di studio si sta arrivando a conclusioni in linea con i sapienti, i mistici del passato, il fatto che la materia non esista, ma sia energia, onde elettromagnetiche, che la materia si possa identificare solo statisticamente.
Tu pensa alla vista, vedi il lago fuori di te, ma è un bombardamento di fotoni che colpisce la tua retina, che manda un messaggio al cervello, il quale elabora questo messaggio e lo rappresenta fuori di se, ma il lago è dentro di te, è uno stimolo sensoriale. Noi riusciamo a farlo solo con una gamma di lunghezze d’onda, poi lunghezze d’onda diverse le percepiamo via via come suono, calore, tatto, altri non li percepiamo per niente ma ci ammazzano, come le radiazioni. Ciò è dovuto ai nostri filtri, incompleti e settoriali, diversi da organismo a organismo. Ogni tanto si può riuscire a sentire come una sinfonia di strumenti, dove ciò che conta è la sinfonia e tu sei uno dei tanti strumenti che la eseguono".  



Un tratto della via francigena da Montefiascone
a Bolsena
 Il 10-11-12 giugno Immacolata ha organizzato il cammino della Dea, una tre giorni attorno al lago di Bolsena, si parte da Gradoli in senso orario, per maggiori informazioni
http://www.bebgattamorena.it/cosabolle.html

http://www.pontidiluce.org/ (il sito dell'associazione)



http://it.wikipedia.org/wiki/Riane_Eisler (su "il calice e la spada")


lunedì 9 maggio 2011

Attigliano, capitale italiana del Messaggio di Silo

  Questo è il primo post di sconfinamento, siamo lungo l'altra sponda del Tevere, confine storico verso est dell'Etruria ed oggi confine della provincia di Viterbo. Poco più a sud, verso Orte, il Tevere e più esattamente il lago ormai quasi prosciugato di Vadimone (dalla collocazione incerta), vide lo scontro finale etrusco-romano, nel 309 a.C, dopo che, presa Sutri,  questi ultimi valicarono l'impervia Selva Cimina.

 

   Dal 2008 ad Attigliano è stato fondato il Parco di studio e Riflessione, da parte del Movimento Umanista. Come io non sapevo granchè di questo movimento, tranne l'esser stata intercettata una decina di anni fa per strada da attivisti del collegato Partito Umanista, immagino che molti altri ignorino come me la visione del mondo, la storia  e le pratiche di questo gruppo di persone. Quindi, approfittando dell'annuale giornata commemorativa del primo discorso di Silo (l'argentino fondatore del movimento), il 7 maggio mi sono recata al Parco per incontrare qualcuno.
E incontro Claudio detto Lollo

  Quali  sono le ragioni di questa giornata?
  "È una celebrazione annuale, il movimento umanista nacque a seguito del primo discorso del fondatore che è Silo, il 4 maggio del 1969, e ogni anno si festeggia, sono 42 anni".

  Cosa vi distingue da altri movimenti per la non violenza?
  "Si dà profondità all’azione non violenta, che non  è semplicemente non essere violenti per essere buoni. E’ proprio con il contatto con gli aspetti più profondi dell’essere umano che si comprende la necessità di agire in modo non violento, nei confronti dell’essere umano ma anche nei confronti di tutto l’esistente".

  Riguardo all’impegno politico come vi ponete?
  "Il movimento ha cinque organismi che si muovono in differenti campi: il partito umanista, il centro studi, la comunità per lo sviluppo umano, convergenza delle culture e il Messaggio di Silo che è la cosa più spirituale, non fa attività sociale, lì si fanno esperienze personali".

  E cosa mi puoi dire della meditazione?
  "Silo ci ha dato dei modi per accedere all’esperienza di forza e all’esperienza di pace, che sono delle cose che hai dentro. È un lavoro con le immagini, di visualizzazione, uno immagina una sfera, la porta dove vuole e poi l’espande, e poi niente, già è tanto riuscire a fare questo, uno di solito con la testa fa tante cose, è difficile svuotare la mente".

  La forma del centro di meditazione ha un motivo specifico?
  "La sfera serve a creare uno spazio vuoto, senza riferimenti, anche per semplificare questo lavoro di abbattere i muri, è un’ambiente che ha delle caratteristiche strane, particolari. Dall’alto ha il disegno di un mandala, il portale è scintoista.
  Questo è un posto di riflessione ed ha molto a che vedere con aspetti spirituali che molte religioni hanno, per cui ci sono sì simboli religiosi, però sono universali. Qui ci sono atei, credenti, cristiani, musulmani".

  Tu come sei arrivato al movimento?
  "Mi hanno contattato  ventuno anni fa per strada. A quel tempo si faceva molta attività politica, perché il movimento umanista si è manifestato al mondo anche nel modo più idoneo rispetto ai tempi. Oggi c’è molta più ricerca di spiritualità e oggi il movimento si sta mostrando nella sua essenza. Vent’anni fa non è che si potesse parlare molto di spiritualità, e si faceva attività politica, non che si nascondessero certe cose, però la politica era l’aspetto con il quale si andava verso fuori".

  So che il movimento fa anche volontariato...
  "Sono appena tornato da un campo in Senegal, noi cerchiamo di formare volontari locali, dargli strumenti sia per l’organizzazione che per la risoluzione dei problemi quotidiani, e lì oltre a progetti di adozione a distanza, sanità, abbiamo una campagna che si chiama Stop Malaria. Con sponsor italiani abbiamo finanziato una pompa a energia solare per tirar fuori l’acqua dal pozzo, sempre finanziato da noi".
 
  Vedo molti giovani qui
  "Se uno cerca una risposta che va oltre il materialismo di moda..."
 
  Da dove vengono?
  "La maggior parte da fuori, ci sta un piccolo gruppo di umanisti che da Roma si è insediato qua già da anni ed è in crescita, diverse decine di persone".
 
  Cosa c'è in programma oggi?
  "Adesso ci sarà in una sala la cerimonia di benessere., una della decina di cerimonie, c’è anche  quella di riconoscimento, matrimonio, protezione dei bambini, cerimonia di morte..."
  Quindi i passaggi importanti della vita sono celebrati con queste cerimonie?
  "Sì. Sono stato a Palermo al matrimonio di una coppia di amici che sono qui, che si sono sposati prima in comune poi con la cerimonia umanista".
 
  Nonostante ciò non la consideri in una religione
  "Il punto è che nessuno mi ha mai detto in cosa credere, è una scelta mia, per cui legare l’aspetto spirituale a Dio è una forzatura personalmente, quelle sono cerimonie che non necessariamente hanno a che vedere con l’aspetto religioso".

  E non può andare in conflitto questo per chi crede nel cattolicesimo o nell’islam?
  "Io per esempio ho parlato con alcuni africani con i quali ho passato diverso tempo è hanno detto che questa cosa rafforza la loro fede nell’Islam, io non sono riuscito a comprendere in che modo potesse avvenire però è così".
 
 E questi amici che si sono sposati erano entrambi umanisti?
  "Sì, però poi definirsi umanista..magari uno ci si sente e poi non viene, in generale è gente che si conosce e si frequenta".

  La cerimonia di ringraziamento come funziona?
  "Qui ognuno fa una richiesta..."
 
  Prima di avvicinarti al movimento eri in ricerca spirituale?
  "Te lo dico a quarantasette anni, forse vent'anni fa facevo delle cose che non sapevo perché le facevo. Non mi sono mai riconosciuto nella chiesa cattolica, per la forma e la storia, hanno fatto molte cose deprecabili, è stata molto spesso un freno per il progresso umano più che uno stimolo. Sono nato nella culla della cristianità e ne sento tutta l’influenza negativa. Riconosco che ho fatto delle cose vent'anni fa perché ero alla ricerca di un senso, mi piaceva molto la fisica, l’astronomia, il perché dell’universo e forse da questo tipo di studi cercavo la risposta alla domanda centrale. Però te lo dico oggi, prima forse non me ne rendevo conto. Se mi soffermo e mi guardo intorno oggi mi rendo conto che il sacro è in ogni cosa, non devi andare troppo lontano per cercarlo, è nelle persone che ti sono a fianco, nella natura che ti circonda. Ma ognuno ha la sua visione. E’ un riconoscimento che non passa per l’intelletto, in questo senso riconosco che tutto il creato ha una sua sacralità, la stella c’ha un suo ciclo, evoluzione e alla fine arriviamo noi, forse siamo il risultato di un’Intenzione".
 
  Non credi al caso, credi che ci sia un piano
  "Sì, non mi faccio domande su da dove viene, mi basta averne esperienza, sentirle queste cose".
 
  Come si trasmette questa esperienza ai figli?
  "Secondo me la cosa migliore è dargli la possibilità di approfondirle, poi se i bambini crescono in un ambiente con certi valori o certi interessi necessariamente ne vengono toccati e poi sta a loro la scelta".
 
  Anche a Roma ci sono luoghi di incontro umanisti?
  "No  a Roma non ci sono, però ci sono le sedi di associazioni legate. Ma di simile non c’è nulla in Italia, un altro parco simile è a Toledo, in Spagna".
 
  Quanti siete in Italia?
  "Saremo qualche centinaio, duecento".
  
  E nel mondo?
  "Diverse migliaia, la maggior parte Spagna, Italia e Sudamerica "bianca".  Molti degli argentini che sono venuti in italia per scappare dalla dittatura e portare il messaggio di Silo in giro per il mondo avevano anche origini italiane. Di fondo c’è un progetto di cambiamento del mondo, non è solo un’aspirazione. L’anno scorso s’è fatta la marcia mondiale per la pace e la non violenza, tre mesi di giro del mondo, lanciata da uno di noi, uno spagnolo, Raphael De La Rubia e poi abbiamo lanciato la proposta alle altre realtà".
  Che utilizzo hanno i diversi spazi del parco?
  "Questo è il centro di lavoro, sotto ci sono degli alloggi, poi oggi inauguriamo il centro studi, là c’è la sala di meditazione, poi c’è una stele di ringraziamento a coloro che hanno finanziato il parco, dall’altra parte c’è una fonte che rappresenta la sorgente della vita".

  Successivamente parlo con Claudio, membro del Centro Studi Salvatore Puledda.
  Di cosa vi occupate?
  "Il Centro Studi  fa delle ricerche per diffondere la visione del Nuovo Umanesimo nella conoscenza. Cioè il punto di vista umanista sulla storia e l’essere umano. Nella storia ci sono dei periodi che di epoca in epoca vengono rivalutati. Ecco noi pensiamo che ci siano stati e ci siano molti momenti umanistici, soltanto che c’è una visione che tende a dare forza a ciò che non funziona e tutta la ricchezza dell’essere umano non si ritrova nei libri. A parte l’umanesimo storico,  abbiamo fatto diversi video su Federico II di Svevia, un altro momento umanista è stato quando a Toledo  le tre religioni convivevano, o ad Alessandria d’Egitto, Bisanzio, il sufismo islamico, in Egitto con il faraone Akenaton, l’unico che ha rifiutato la propria divinizzazione. Purtroppo sono sempre stati momenti legati alla vita di un potente o che hanno avuto un breve ciclo, anche l’umanesimo storico è stato osteggiato e annientato dalla Riforma e dalla Controriforma.  Ad esempio Rodolfo II di Praga aveva creato una corte dove la conoscenza era messa al centro.
  Il nostro concetto di conoscenza è che il dato va sempre unito  all’esperienza. Si punta a vedere tutto ciò che unisce,  non che separa, quindi per noi il fenomeno umano è uno solo. Secondo noi la diversità è una ricchezza ma quello che unisce l’essere umano è la libertà di scelta. Che poi alcuni abbiano minori possibilità è dovuto all’ingiustizia e su questo lavoriamo. Non ci poniamo con un atteggiamento pregiudiziale con le culture , ma cerchiamo in ogni distinta cultura di prendere ciò che di meglio c’è. Anche quella più oscurantista nei secoli ha avuto il suo momento in cui è riuscita a esprimere valori in comune con altre culture. La convergenza delle culture si fonda sulla convergenza su cose minime che ci uniscono. Ora c’è un sistema di connessione e comunicazione che fa sì che già tra due-tre generazioni sarà improponibile pensarsi “italiano che disprezza gli altri”.  Da una parte la tecnica, dall’altra il commercio, la pubblicità, danno la sensazione che il destino dell’essere umano sia quello di arrivare a un punto in cui non ci saranno più confni. Ormai la connessione c’è, è mentale, culturale, cosa che non poteva avvenire in un’epoca in cui non sapevi che c’era oltre il muro del castello".
 
  Come vi muovete per divulgare il messaggio?
  "Quasi tutte le attività sono aperte e gratuite. Facciamo formazione, corsi nelle scuole elementari e medie sulla comunicazione non violenta, simposi, documentari, libri, abbiamo una casa editrice.
  La modalità di andare nel mondo e cercare più persone possibile perché con questo si poteva cambiare la società non c’è più perché è cambiata la società, ci sono già tantissime altre realtà simili alle nostre che stanno nascendo spontaneamente, se tu pensi che il resto del mondo è cattivo e tu vai verso il mondo a dire “venite con noi che siamo i buoni”..., ma se ci sono realtà meravigliose, associazioni che hanno uno spirito umanista, quello che possiamo fare di meglio è collaborare, collegarci, fare sinergia. Collaboriamo il Conacreis (http://www.conacreis.it/) che raggruppa attività olistiche per il benessere spirituale, con il movimento Zeitgeist (http://www.zeitgeistitalia.org/), con Laguna una ditta di prodotti farmaceutici omeopatici.
 
  Cosa pensate della medicina ufficiale?
  Rispetto alla salute crediamo che tutto ciò  che porta al benessere dell’essere umano è venuto dalle distinte culture. Nell’allopatia noi riconosciamo degli elementi positivi ma quando diventa al servizio del denaro e delle case farmaceutiche tutto quello che produce è inquinato da questa situazione, ma è chiaro che ci sono tantissimi medici bravissimi. Riconosciamo la piena libertà di cura".

La cerimonia di ringraziamento per la nuova struttura che sarà adibita a centro studi e alloggio.
Un'officiante (una ragazza)  legge dal libro del Messaggio di Silo. Guida così l'attivazione della forza individuale.

http://www.parcoattigliano.eu/