martedì 26 aprile 2011

Vivaio d'arte e bambù: la Serpara, parco di sculture a Civitella d'Agliano

  Le forre. Che splendida parola densa di rimandi misteriosi.
 
Attilio Pierelli "Colloquio antico"
Diciamo che l'ho imparata trasferendomi qui, nella Tuscia teverina. Fertili di foreste e forestieri, fori sull'altrove forati da acque metalliche e ferrose. Buie, bagnate e serpentine, impalcature liquide di altipiani luminosi, ingannevoli e calmi. La vegetazione qui è il negativo fotografico di quella a cui si è abituati: il bosco è giù, la pianura su. Anche le anime forse seguono una tale eccezione. Non sono in cielo gli etruschi, il loro paradiso è qui tra le forre. Fortuite, come un'inciampo, fortunate, come chi vi fonda un sogno.


  
Come
la Serpara.


Scultura e Natura si rincorrono a vicenda, i bambù organizzano templi alti e fitti, un bagolaro decide di schiantare in modo vistoso tra un'installazione e l'altra, radici di fico compongono il tetto di una dea che dalla tetta stilla acqua sorgente per un piccolo bacino di grazia sensuale. E così è difficile capire a  volte se lo scenario si è adeguato all'opera, come un cuscino alla testa, oppure l'opera alla sua collocazione. 

Uwe Shloen
 Altre volte invece il contrasto fra colori pop, silicone, macchine e sua destinazione, danno un tal senso di lontananza, che sembra di essere in un fantascentifico scavo archeologico, dove fumetti adolescenziali,  piccoli rifiuti restituiti alle coste dal mare, tosaerba arrugginiti, una paleontologica cinquecento ormai salotto di piccoli extraterrestri, testimoniano quel che eravamo oggi.





In una forra del territorio di Civitella d'Agliano, da undici anni gli svizzeri Paul Wiedmer e Jacqueline Dolder, dopo avervi  preso dimora alla confluenza di tre sorgenti e un fiume grigio azzurro di argille, custodiscono in modo segreto e accogliente un parco di sculture di innegabile fascino, in cui di anno in anno si "sedimentano" nuove creature. Proprio come i fiumi trasportano ciottoli da molto lontano, così gli artisti delle creature di Serpara sono spesso d'oltralpe, svizzeri, tedeschi, ma non solo.
Durante la Pentecoste, c'è un rito artistico: l'inaugurazione della nuova opera, spesso progettata e realizzata in loco nei mesi precedenti. Segnate in agenda il prossimo 11 e 12 giugno! dalle ore 16 fino a sera potrete partecipare alla festa inaugurazione del sabato con musica e performance e alla visita guidata della domenica (ricavate però uno spazio per andare a votare!). Non vorrei replicare le informazioni  e le foto che potete trovare sul loro sito, dove peraltro c'è una presentazione del giardino pienamente rispondente alle emozioni che mi ha dato, quell'indeterminatezza del confine.
Jacqueline ci ha fatto  da guida raccontandoci le opere con orgoglio e modestia, una fierezza serena, ma non eravamo solo in un percorso museale a cielo aperto, era  anche una passeggiata nel parco della loro casa. 

 Un'ora e mezza evocatrice d'ozio aristocratico, di  wondercollezionismo,  di romanticismo selvatico, di esotismo post-coloniale.

Sul tutto poi, come un suono di fondo, ferro e fuoco, l'homo faber- fabbro che plasma la materia prima, letto e interpretato da Paul Wiedmer.  O forse è il magma del vulcano vulsino, il lago lavico, il grande fluido caldo che urlando ha plasmato la terra dove oggi abitiamo.

 La Serpara dai tanti livelli, umida, femminile, orizzontale, tonda oppure secca, calda, aerea, verticale, mascolina;  stralocale e cosmopolita, naturartificale, dove lo Spirito pentecostale si tuffa a picco e unendosi ad  Efesto crea ogni anno una nuova creatura.


Reini Rühlin
Sotto fuoco






lunedì 18 aprile 2011

Da Brescia a Celleno: una rivoluzione gentile tra le mura dell'ex convento francescano di S. Giovanni Battista

   E' il 23 marzo, il cielo è brillante, il verde è tenero, pieno di linfa mentre mi dirigo a Celleno. Innumerevoli sono le opere costruite dall'uomo qui nelle campagne e nei paesi che crollano di tristezza perchè non contengono più nessun sogno quotidiano, nè parole, ne gesti. I Penati se ne vanno tra i fumi polverosi delle macerie.  In quel che fu convento francescano a Celleno, invece, i frati che dipinsero le storie del poverello tra le arcate del chiostro credo abbiano deciso di restare, troppo allettante stare a guardare trent'anni di ideale che si fa quotidiana ricerca di un modo nuovo di chiamarsi famiglia. 
Particolare del chiostro



Incontro Franca, lei ha vissuto e contribuito a questa avventura fin dagli inizi, la racconta così.

"Noi veniamo dalla provincia di Brescia, siamo tutti dello stesso paese, quello che ci ha aggregato è stata la voglia di comunità, dello stare insieme , del metterci alla prova. Erano gli anni ’80 però già da prima c’erano quei sentori, quegli interessi che ci portavano, per motivi diversi, alla condivisione, alla libertà, all'autonomia, perché era l’inizio della nostra vita da ragazzi grandi, anche se era da un po’ di anni che appunto giravamo intorno a quest’idea di comunità, ci si trovava, si rifletteva, si pregava. La spinta per qualcuno è venuta dall’aria che s’è sentita dopo il Concilio Vaticano II, ma non necessariamente. Infatti siamo venuti da gruppi oratoriali ma anche da altri gruppi impegnati socialmente. Ci siamo trovati attorno a quest’idea che ci ha conquistati piano piano fin quando abbiamo voluto metterci alla prova realmente e vedere dove sapevamo arrivare. Alcuni erano un po’ titubanti perché ci sono tante varianti nell’idea di comunità, dipende da che parte la prendi.
  Come giovani coppie c’era già l’idea di non formare una coppia classica nel senso di chiusa, la famiglia chiusa era in crisi già a quei tempi. 
Il borgo di Celleno visto dall'ex convento
Per noi la sfida è stata quindi di aprirla, è la cosa più difficile ma ancora adesso per noi è un valore. Qui abbiamo messo tutto in comune, anche la condivisione dei figli, anche se la responsabilità principale è comunque dei genitori, però anche avere altri punti di riferimento è stato secondo me importante. Non abbiamo mai saputo cosa vuol dire non sapere dove lasciare i bambini se stai male o devi andare da qualche parte, le famiglie piccole se ne rendono conto che se non hanno i nonni cosa possono fare? Per noi è invece questa mancanza di sostegno non c'è mai stata, certo questo si porta dietro le sue difficoltà, quella di accettare ad esempio. Se vuoi che ci sia uno scambio la comunicazione deve andare e venire. Naturalmente non è stato tutte rose e fiori. Le difficoltà sono state sull’educazione dei figli, non avendo tutti la stessa idea. Ciascuno di noi ha la propria, politica, sociale, di educazione e ne siamo perfettamente coscienti. Anzi le nostre personalità se ne sono rafforzate, non c’è stata una perdita. Anche all’interno della coppia non c’è la moglie che si fa trainare dal marito perché altrimenti non ce la fai, non esisti nella comunità. Scoppia la coppia. Se tu non hai una forte identità e non sei collegato con quello che vuoi tu non c’è marito che regga né comunità che regga. Infatti qualcuno aveva quest’idea di voler cominciare  ma non ce l’ha mai fatta. Dopo dieci anni di esperienza qualcuno ci chiedeva di aggregarsi a noi però noi siamo restii perché la comunità va fatta crescere.
Io ho due figlie con quattro nipotini ma le altre coppie non hanno ancora nipoti. La comunità in tutto ha avuto qui dieci figli".  
Quindi siete alla terza generazione...
"Si si però non viviamo tutti qui, perché come noi abbiamo scelto liberamente l’esperienza comunitaria così loro, nati in comunità hanno diritto al loro percors"o.
Chi ha deciso di rimanere?
"Di figli ancora nessuno, tranne quelli ancora troppo giovani. Hanno deciso di fare una loro vita autonoma, io per esempio ho una figlia a Mantova e una a Celleno. Hanno scelto di fare un’esperienza di famiglia chiusa, ma è normale. I nostri genitori venivano da un ambiente rurale, cresciuti in una famiglia allargata e quindi quando abbiamo fatto questa scelta hanno detto ma voi siete matti, fare quell’esperienza così ma manco morti, avevano una paura!  Noi abbiamo sofferto tanto per liberarci dicevano. Loro avevano vissuto il paternalismo dei genitori, dei vecchi. Invece noi siamo riusciti a non ricalcare quel modello nella nostra famiglia".
Non c'è quell'autorità degli anziani...
"Esatto, c’è l’autorità dell’esperienza e del buon senso".
Crede che la voglia di comunità compia un salto generazionale?
"Loro si trovano volentieri qui tutti insieme, però naturalmente la vita di comunità ha anche un costo, proprio fisico, di fatica. Quando stai a casa tua hai due piatti fai presto, ma qui quando siamo assieme a volte siamo venticinque. In genere siamo a pranzo tutti assieme e alla sera ognuno è più libero secondo le attività di ciascuno.
I nostri figli tra loro si sentono come fratelli perchè sono cresciuti come fratelli.
Fino all’età delle superiori hanno condiviso una stanza per lo studio, per le attività, per la tv. Avevano la loro cameretta ma un po’ piccola, erano le antiche celle. Durante le superiori cominciavano a sentire un po’..infatti poi abbiamo preso una stanzetta dove loro poi potessero stare di giorno di notte per avere una vita sociale normale. Qui non era più possibile ospitare gente perché non era più compatibile con l’attività. Stanno volentieri insieme però stanno volentieri anche da soli".
Come vi siete inseriti nel contesto cellenese?
"Come ambiente la gente qui ti esclude molto, non ti accoglie mai se non a livello superficiale, bisogna ammettere però che noi eravamo già un gruppo quindi non c’è mai interessato, poi non avevamo il tempo sinceramente. Se venivano qui volentieri. I nostri figli son sempre stati ben accolti in tutte le case degli amici, mentre so che tra di loro non poteva succedere, invece avevano questo occhio di riguardo per noi, forse perché venivamo dal nord, forse avevano questa debolezza. Però non t’accolgono lo stesso. I nostri figli sono stati protetti dal fatto che noi  eravamo già gruppo, se no sarebbe stata tosta. La mia figlia più grande che è venuta qui a cinque anni non s’è mai adattata". 
Perchè è stata la prima bambina?
 "È venuta che già aveva un vissuto sociale a Brescia, per lei era come se come fossimo andati in Africa, la lingua di qui per lei non era italiano, perché quando parlano Cellenese stretto anche per me era difficile da capire, quindi ti immagini a scuola. E poi non l’hanno proprio accolta".
Perchè all'inizio in paese non vi avevano ben individuato forse?
"In realtà  in gruppo siamo stati accolti bene non ci hanno fatto mai dispetti  e poi i bambini venivano a giocare al campetto, è stato un punto di aggregazione perché il prete non li voleva su, non c’era l’oratorio, avevano la strada o il convento, e quindi noi abbiamo lasciato andare così. Però non abbiamo voluto farci imbrigliare dal locale se no ti soffoca. Il troppo localismo intendo, ecco vedi cosa fa la Lega, ci piace mantenere sempre l’apertura verso tutti, tutti quelli che vogliono essere accolti e accogliere. Però è vero che hanno accettato tante cose, per un po’ di anni abbiamo fatto questo scambio con il Guatemala e loro hanno tollerato questa cosa. A livello teatrale abbiamo lavorato tanto con i giovani, che hanno sempre risposto bene come apertura, per creare un amalgama culturale".

Quanti siete ad oggi?
"Adesso tre famiglie e mezza perché a un certo punto ci siamo lasciati "corrompere" e abbiamo aperto a una coppia che veniva da Roma, perché inizialmente dovevano iniziare un’esperienza autonoma con altre giovani coppie e non con noi che siamo già vecchi bacucchi per loro. Invece quando stavano per iniziare si è spaccato tutto e questa coppia è rimasta sola. Noi eravamo tutti del parere che in una comunità non ci si può entrare quando è già matura, avviata, bisogna esserci fin dall'inizio. Per questo quando ci chiedono di entrare noi consigliamo di avviare un'esperienza comunitaria nuova, e viverla dal principio".
Perché l'ingresso a comunità già avviata significherebbe per i nuovi trovarsi delle regole che non hanno deciso...
"Brava, e non le potrebbero interiorizzare quindi la vivrebbero come  una forzatura. Mentre tutti quelli che fanno l’esperienza dall’inizio mettono tutti un mattoncino, però è il loro, piccolo, storto, gobbo, però messo dove ti pare a te, invece quando arrivi così a un certo punto, la struttura è fatta. E ci sono dei prezzi a livello psicologico personale, grossi da pagare, che dopo se a uno sta bene fruttano. Però se invece li trovi imposti saranno sempre un limite.
Poi non abbiamo voluto scrivere niente, non abbiamo la nostra storia scritta da qualche parte tranne quelle tre cose che sono sul sito ma giusto perché abbiamo voluto sintetizzare".
Volete che sia una cultura trasmessa, non codificata..
"Esatto, e poi una trasmissione di vita, neanche di parole. Ecco la comunità si fa solo così vivendo, giorno per giorno, noi non abbiamo pianificato niente. Stiamo insieme ancora perché ci va e perché c’ha senso".
Come vivete la religione?
"Per tanti anni si è pregato tutte le settimane ma adesso no, abbiamo superato quel modello, quindi la preghiera è personale, quando uno la vuole,  come si vuole, perché dopo poi diventa un obbligo".
E andate a messa?
"Adesso è tanto che non c’andiamo più.."
 
 
La comunità si sostiene anche con l'attività ricettiva, infatti parte della struttura conventuale, opportunamente ristrutturata, è stata trasformata in alloggi ed è disponibile il servizio di ristorazione.
Per maggiori informazioni, visitate il loro sito: